CENA A TEMA DANTESCO. Da un’idea di Libero Asioli su ricerche di Ivan Simonini - CODICE: EVFU3

 

NELL' OCCASIONE DELLA IV GIORNATA EUROPEA DEI PARCHI LETTERARI

 

 

20 Ottobre 2018 ore 20,3 - Salone dei Mosaici, Ravenna

 

 

 

CENA A TEMA DANTESCO

 

Da un’idea di Libero Asioli su ricerche di Ivan Simonini

 

 

 

 

MENÙ

 

ANTIPASTO

Funghi crudi pepe e aglio  
(altri ingredienti: sale dolce di Cervia e olio di oliva)

 

PRIMO

Zuppa di farro

(altri ingredienti: timo e origano)

 

SECONDO

Anguilla affogata

(altri ingredienti: vernaccia e alloro)

 

DOLCE

Tortino di datteri e fichi al cardamomo

(altri ingredienti: miele e latte)

 

PANE, FRUTTA E BEVANDE

Focacce calde da farine di farro. Mele grandi e susine piccole. 

 

Vino bianco vernaccia e acqua “cheta”.

(€ 30,00 su prenotazione).

 

Consigli per la preparazione domestica e note storico-letterarie:

 

Funghi crudi pepe e aglio

Usare prataioli giovani e tagliarli a fette sottili. Salarli poco. Cospargerli di pepe nero e di aglio finemente grattugiato così da renderlo liquido. Aggiungere olio di oliva e mescolare leggermente. Lasciar riposare per mezz’ora.

Un’erronea credenza trecentesca ancora illudeva che pepe e aglio togliessero ai funghi veleno e tossicità, quando nel 1319 il grammatico bolognese Giovanni Del Virgilio venne a Ravenna per conoscere Dante. A primavera 1320 Giovanni, docente di retorica latina all’Università di Bologna, inviò una lettera latina a Dante per invitarlo a Bologna a ricevere l’alloro poetico. Dante non accettò le condizioni, inviandogli un’Egloga latina. A primavera 1321 Giovanni tornò alla carica con un’Egloga latina responsiva, blandendolo senza pudore: sarà lui stesso ad ospitarlo in casa sua dove Dante sarà trattato come un re, avrà un’ancella per i massaggi, un’ancella per lavargli i piedi e inondarlo di profumi, un cuoco provetto condirà i funghi con aglio e pepe abbondanti e sulla tavola troverà sempre mele talmente belle che gli dispiacerà mangiarle e non poterle più ammirare. Nell’incontro ravennate Giovanni doveva aver ben osservato le abitudini alimentari di Dante e se (dopo il fallimento del primo tentativo) spera di convincerlo usando anche la forza d’attrazione di pomi e funghi è perché è sicuro che a Dante, commensale notoriamente parco, funghi e mele piacciano assai. Già nel Convivio Dante osserva: “vedemo i pargoli massimamente desiderare un pomo”. Predilezione poi sublimata nella Divina Commedia: “quali a veder de’ fioretti del melo / che del suo pome gli angeli fa ghiotti” (Purgatorio, XXXII, 73-4). 

 

Zuppa di farro

Lasciare i grani di farro in acqua per 24 ore, aromatizzando con timo e origano. Cuocere il farro a fuoco lento per circa un’ora e mezzo mescolando ogni tanto. A tre quarti di cottura aggiungere sale grosso senza esagerare e a fine cottura l’olio d’oliva crudo. Chi non ha tempo per la cucina può trovare oggi in commercio farro precotto: Dante perdonerà? 

Nella sua Egloga a Dante, Giovanni Del Virgilio esalta le virtù di origano e timo. Il riferimento al farro è invece nell’ultimo verso della prima Egloga di Dante: “parva tabernacla nobis dum farra coquebant”. Dante descrive qui il suo ritorno dal lavoro con i suoi studenti e assistenti “mentre sotto le piccole tende per noi cuocevano il farro”. Essendo allora il farro assai diffuso, è possibile che Dante si riferisca sia alla zuppa sia alle focacce di farro. Quanto all’olio d’oliva, era l’unico condimento (“liquor d’ulivi”, Paradiso, XXI, 115) usato dal Santo ravennate Pier Damiani nell’eremo di Fonte Avellana per insaporire i cibi. 

 

Anguilla affogata

Immergere le anguille vive in un contenitore pieno di vernaccia e lasciarle nel vino per due ore, deviscerarle e cuocerle arrosto con qualche foglia d’alloro. Chi non trova le anguille vive, può seguire lo stesso procedimento.

La vernaccia è un vino bianco (da Vernazza nelle Cinque Terre ma tipico anche di San Gimignano e Oristano) caro al francese Martino IV (Papa dal 1281 al 1285), il più magro del girone purgatoriale dei golosi:  “ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia / dal Torso fu, e purga per digiuno / l’anguille di Bolsena e la vernaccia” (XXIV, 22-4). Proveniente da Tours (“Torso”), curava personalmente la sua ricetta facendo annegare nella sua camera le anguille nel vino man mano che gliele portavano. Avendo udito una suora del suo servizio impietosirsi per la sorte delle povere anguille, il Papa la confortò garantendole che così non solo morivano prima (un paio d’ore, invece delle 24 ore necessarie in un contenitore asciutto) ma morivano felici perché ubriache. “Gaudent anguille”, scrisse Frate Pipino raccontando nel suo Chronicon la morte di Papa Martino.

Riferimenti all’alloro sono invece frequenti sia nelle Egloghe sia nella Divina Commedia, anzi essere incoronato dell’alloro poetico nel suo bel battistero fiorentino era il sogno ricorrente di Dante.

 

Tortino di datteri e fichi al cardamomo  

Si lascia la ricetta alla totale libertà dei cuochi giacché Dante (che certo ha mangiato funghi, farro e anguille) non ha forse mai mangiato il tortino qui proposto, proposto però sulla base di ingredienti quasi suggeriti da lui.

 

 

Canto XXXIII dell’Inferno, versi 83-4: “Io son quel dalle frutta del mal orto / che qui riprendo dattero per figo”. Nel punto più basso dell’Inferno, tra i traditori dei propri ospiti, Frate Alberigo riprende “dattero per figo”, cioè: è punito con gli interessi. Si pensava allora che l’esotico dattero fosse più prelibato del fico nostrano, del quale Dante ha comunque un’alta opinione: “ed è ragion che tra lì lazzi sorbi / si disconvien fruttar lo dolce fico” (Inferno, XV, 65-6). I sorbi “lazzi” (cioè aspri) indicano i fiorentini e il “dolce fico” indica Dante.

Il cardamomo entra in gioco quando Dante parla di come si nutre la fenice: “erba né biada in sua vita non pasce / ma sol d’incenso lacrime e d’amomo” (Inferno, XXIV, 109-110). Originario di Giada e dell’India (dove, per l’estrema fragilità della pianta, solo mani femminili potevano raccogliere i piccoli baccelli pieni di semi), il cardamomo - o amomo - era considerato, assieme allo zafferano e al pepe, nella triade delle spezie regine per il suo odore inebriante. 

Miele e latte tornano più volte nel Poema e nelle Egloghe, dove Dante si dipinge intento a mungere una pecora amabilissima che a fatica regge le mammelle tanto son piene di latte: quel latte munto da Dante è l’allegoria della nascente lingua italiana.

 

Avvertenza.Per la benefica azione del cardamomo contro l’ipertensione, si consiglia, a chi deve prendere antiaggreganti o aspirine, di assumere il farmaco lontano dal cardamomo. 

 

Pane, frutta e bevande

Dice Pier delle Vigne: “ma là dove la fortuna la balestra / quivi germoglia come gran di spelta” (Inferno, XIII, 98-9). Frumento selvatico che cresceva ovunque, il “gran di spelta” era alla base di tutti i grani coltivati poi (oggi spelta e farro sono sinonimi). Quanto alle prugne, Dante preferiva quelle piccole e definiva “bozzacchioni” le prugne più grosse rese insipide dall’eccesso di pioggia: “ma la pioggia continua converte / in bozzacchioni le susine vere” (Paradiso, XXVII, 125-6). Quando il Montone nasce, si chiama Acquacheta, la cui cascata “rimbomba là sovra S. Benedetto” (Inferno, XVI, 100) non molto lontano dall’attuale invaso di Ridracoli, la cui acqua Dante forse non disdegnerebbe di assaggiare qui con noi, anche se la sua preferenza era (Purgatorio, XXV, 77-8) per altre bevande: “guarda il calor del sol che si fa vino / giunto all’umor che dalla vite cola”. 

 

Per info e prenotazione: tel. 3204603033 - info@terredidante.it

 

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